Mille splendidi poli

Silenzio. Nessuna musica. Nessuno balla più. L’assenza di suoni rimbomba nelle mie tempie. Siamo fuori? No, solo più dentro, più sotto. Ci avviciniamo al fondo. La pista IX è vuota. I ballerini, o quel che ne resta, sono disposti in tondo, come in un circo macabro. Sono tutte vittime di un combattimento mortale. I loro corpi smembrati, mutilati, massacrati.

– Polarizzare, polarizzare!

L’imperativo rompe il vuoto, la pista trema, sussulta, si squarcia. Pali coronati da schermi sgorgano dalle viscere dell’Inferno, rompono il circolo dannato. Il labirinto 2.0 ci inghiotte. Una testa rubiconda, unico faro nell’oscurità, appare tra gli alberi di schermi. Una mano la sorregge come fosse una lanterna. Nell’abisso dove siamo, serve solo a illuminare il collegamento del braccio al busto dal quale la testa è stata staccata.

I pugili sul ring della discordia

– Politica, informatica. Sono la stessa cosa, non ve ne siete resi conto? Scomponete un problema in sottoproblemi più semplici. Scomponete ancora. Ottenete problemi facilmente risolvibili. Combinate le soluzioni ottenute. Fatto. Risolvete il problema originario. Siete al comando, ora. Siamo al comando. Divide et impera.

Tim, tu e la tua informatica. Il tuo linguaggio fatto di zero e uno, di opposizioni binarie. Bianco o nero. Spento o acceso. Vero o falso. Sono vere le parole di questo dannato?

­– Vero o falso. Chiedi a me, piuttosto che alla tua guida perdente, buddy. Il vecchio Tim. Come stai? Ti ho mai ringraziato per aver inventato il web? Vero e falso, dicevamo. Gli amici falsari, certo, loro ne avranno, di cose da dirti, ma prima della costruzione della verità, o della falsità, che vale lo stesso, viene l’edificazione degli schieramenti: chi sta contro chi? Questa è la domanda da cui partire. E la risposta è: tutti contro tutti. Dimentica le vecchie contrapposizioni stato-chiesa, destra-sinistra, democratico-repubblicano, guelfi-ghibellini: tu sei italiano, no?, e sai bene di che cosa parlo. Roba da società arcaiche. La polarizzazione è dinamica: ogni settimana, una contrapposizione nuova. Guarda sugli schermi, amico: chi stava da una parte, oggi sta dall’altra, domani da un’altra parte ancora. È un movimento infinito, ragazzo. Noi spostiamo i poli, voi vi estremizzate. Noi governiamo. Problema risolto, ve l’ho detto.

La mano leva la testa ancora più in alto, vedo la sua voce uscire dalla gola squarciata.

– Oggi attacchiamo Papa Francesco. Domani i migranti messicani. O quelli africani, se preferite, da bravi europei. Un altro giorno il leader dell’opposizione in esilio. Il giorno dopo Biden. Quello successivo Clinton. Poi gli attori omosessuali. Gli intellettuali. Voi mi dite chi, noi operiamo. Vedete, il punto non è la propaganda, farla è semplice, grazie a Tim (grazie ancora, Sir): metti su un giornaletto online che porta avanti la missione del razzismo e dell’antisemitismo, chiamala piattaforma per l’alt-right o internazionale populista se ti va, e hai la tua bella, gioiosa macchina da guerra dell’informazione. No, il punto è un altro. Il punto è che costringi chi sta con Papa Francesco, i sostenitori dei messicani, i terzomondisti, gli oppositori del regime, quelli che si vantano di essere democratici a venire allo scoperto, ad agire, a buttarsi al centro del ring, a urlare e a fare a cazzotti con noi, come volevamo noi, dove volevamo noi.

Dante e Virgilio nella bolgia dei seminatori di discordia

I social.

– Inizi a capire. Una volta agganciato su Facebook (o Twitter se ti credi un opinion leader fighetto) è fatta. Sei dentro la bolla perfetta della radicalizzazione, qualunque siano le tue idee di partenza: moderate, estremiste, ragionevoli, irragionevoli, progressiste, conservatrici, reazionarie, rivoluzionarie. Non importa, sei un radicale delle tue convinzioni personali. Ti impiccherai con le tue mani. Niente e nessuno potrà farti cambiare idea. Così deve essere: ti possiamo portare dove vogliamo. Fattelo dire da uno che ha trasformato il partito repubblicano nel partito della classe operaia. Fattelo dire da uno che è arrivato a un passo dal provocare il colpo di stato alla più grande democrazia occidentale. Quel ragazzino è stato più in gamba di te, Tim. L’open graph. Che invenzione. La “grafomania”: il web semantico della discordia. Ha dato un pubblico e un palcoscenico agli esclusi, agli emarginati, gente frustrata che smania di farsi sentire, di farsi notare. La gente parla, non sa di che cosa parla: tutti a scrivere, a commentare, a condividere per masse di sconosciuti che non incontreranno mai e non si interesseranno mai alla quantità inutile di post, commenti, condivisioni al di fuori della propria, ristrettissima cerchia. Questo li fa sentire importanti, connessi, parte del tutto. La verità è che sono parte di niente.

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– Capisci, amico mio italiano, noi sfruttiamo l’atomizzazione della vita sociale e l’isolamento degli individui, poveri utenti illusi di vivere in una comunità. Ognuno dentro la sua camera dell’eco, condannato alla restituzione della propria voce in un sistema chiuso che non cambia mai, un muro di specchi che non lascia filtrare nessun altro suono dall’esterno. Perché là fuori ci siamo noi, a costruire il muro.

Perché parla al presente? Decollato, la gola tagliata e la tracotanza di parlare come se fosse toccato dalla grazia.

– Ma lasciami dire un’ultima cosa. Ti ho mentito a proposito delle contrapposizioni. Una ancora resiste, ora e sempre. La madre di tutte le divisioni, ricordalo. Noi siamo gli sfruttatori. Voi siete gli sfruttati.

La mano lascia cadere a terra la testa, che si apre in due in senso longitudinale, seguendo la linea della cicatrice dalla gola su fino alla fronte. Il sangue scorre in mille rivoli che vagano tutti in direzioni opposte.