Sonata oscura

Non devo impanicarmi. Così ha detto Tim. Lui conosce questa strana lingua in codice. L’ha inventata, era il suo esperanto e adesso la parlano tutti, dice, ma senza farsi vedere. Io no, non la parlo, non ho mai capito quei segni oscuri dietro lo schermo dei miei dispositivi. Non poteva farla più semplice? È una lingua da setta di iniziati, anche se dal poco che capisco credo siamo arrivati alla fine del viaggio.

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<h1>Pluto</h1>
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<p> You shall not pass <\p>
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Tim, che cosa stai scrivendo?

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<h1>Pluto</h1>
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<?php if ( ( is_Dante() || is_Tim() ) { ?><p> We pass <\p><?php } ?>
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La barriera è svanita. La via è libera. Hai processato l’ipertesto: che cosa intendi?

Think I’ll lose my mind if I don’t find something to pacify.
Can you help me, occupy my brain?

/

C’è una danza macabra qua sotto. Due ombre che girano in tondo, si scontrano, si accusano, si insultano. Una agita in aria un oggetto familiare ma antico, obsoleto, con fili, spinotti, cuffie e tutto quanto. Un walkman, se solo si scorgesse una fessura o uno sportello dove inserire quelle musicassette che ascoltavo quando ero in viaggio, in altri viaggi. L’altro gli punta contro uno smartphone come il mio. Nessun filo. Da entrambi arriva una musica lontana, isolata, un tappeto che riempie ogni istante di silenzio ancora pensabile.

Dante, Tim e Napster

– Tu e i tuoi amici, Ek, avete rovinato tutto. Diglielo, Tim. Noi ascoltavamo la musica e avevamo realizzato il tuo sogno. Una volta messo a disposizione sul web, ogni documento è accessibile da qualsiasi parte nel mondo, da qualsiasi computer, con qualsiasi sistema operativo, con qualsiasi programma che interpreti un dato formato di file. Noi avevamo il formato. Prendi il cd, masterizzi, comprimi e converti. Punto MP3. Suona ancora magico, questo suffisso. Avevamo la distribuzione. Avevamo la rete, avevamo lo scambio tra pari. La nostra era informatica solidale, autentica economia della condivisione, una libreria sconfinata dalla quale combinare compilation di canzoni come mai avevamo avuto la possibilità di fare e passarle ai nostri amici, tutti gli amici del mondo. Tutta la musica, creata e digitalizzata, per tutti! Upload. Download. Play, stop, skip. Repeat. Gratis, certo, Ek, gratis! Devi aver vissuto una giovinezza triste, amico mio, senza nessun amico che ti faceva le cassette dai suoi LP. È così, vero? Solo Wikipedia avete lasciato in vita, maledetti, perché nessuno di voi ci ha mai visto un mercato nelle enciclopedie, solo quei disgraziati dei quotidiani e gli editori della carta stampata. A proposito, Tim, ma li vendono ancora i giornali? Non guardarmi in quel modo, tu e il tuo amico. Scommetto che è un artista sfigato. Masterizzami un tuo disco, artista sfigato, te lo carico io e ti garantisco che miliardi di persone potranno sapere quanto sei bravo. Regalala, la tua arte, non svenderla a chi si tiene tutto per sé.

– Taci Fanning!

Il tizio con lo smartphone, è un’ombra viola. Gorgoglia coi polmoni pieni d’acqua.

– Prodigo di una ricchezza che non era neanche la tua, ma quella di autori che ci mettevano passione, studio e fatica e quella di produttori che investivano soldi, mezzi, studi di registrazione, campagne di promozione. Hai scialacquato un patrimonio altrui, un’eredità storica, un mercato fiorente, hai distrutto la musica popolare, le canzoni ridotte a un documento senza qualità, compresso e compromesso. Jobs le ha dovute vendere a 99 centesimi l’una, a causa tua, ma a lui che cosa importava delle canzoni, i Beatles per lui non erano altro che testimonial per le vendite dell’iPod. Il mercato discografico l’ho salvato io, io gli ho restituito linfa vitale, ho ridato senso alle compilation cambiando il nome in playlist, ho reso di nuovo la musica parte integrante della giornata, del mood, musica per chi vuole concentrarsi, per chi vuole studiare, per chi corre, per chi cammina, per chi fa colazione, per chi fa l’amore, per chi sta da solo, musica in base ai tuoi gusti, alla tua storia personale, ai tuoi ascolti precedenti, alle tue navigazioni, alle tue preferenze politiche, ci pensa il nostro algoritmo, ogni giorno una playlist per te, ogni giorno brani diversi, tutto senza vendere neanche un singolo brano, perché questa cosa dell’era dell’accesso non l’aveva ancora capita nessuno, Tim.

– Eppure era una teoria dell’inizio del secolo, non devi scaricare niente, Tim, cosa stai ancora a parlare di caricare, scaricare, ti serve qualcosa?, basta avere la disponibilità quando ne hai bisogno, la macchina come le canzoni, mi paghi un abbonamento e siamo a posto per un mese, due mesi, quanto vuoi, se no ti faccio ascoltare comunque tutto tutta la vita, ti becchi sempre gli stessi due spot ogni sei minuti, e se riesci a non diventare pazzo, bene così, amico, come vuoi tu, e non venire a dirmi che io trattengo tutto, sperperatore che non sei altro, io do agli artisti dai 5 ai 7 centesimi ad ascolto! Sai quanto fa moltiplicato, che so, per diecimila ascolti, non sono male diecimila ascolti, no?, certo, serve popolarità ma gli artisti possono costruirsela, più sono popolari più l’algoritmo li consiglia, se sono popolari la loro musica è buona, dice il nostro algoritmo!, diecimila ascolti, quelli forti ce la fanno, sai quanto fa, fa settantamila centesimi, settecento euro!, ti sembrano pochi?, no, non sono pochi, sono una bella ricompensa, caro dissipatore di fortune, e poi mica sono una casa discografica io, ci pensassero loro a dargli il resto, facessero il lavoro che tu avevi spazzato via, io devo dedicarmi ai miei trecento milioni di utenti, anche quelli che non pagano, con quattro miliardi che fatturo mica posso pensare a tutto io, non credere che siano poi così tanti quattro miliardi.

Sono stato un’artista nell’altro mondo? In questo, dovrei trovarmi un lavoro diverso, temo. L’arte non è un lavoro, è tempo libero: così dicono oggi.

Tim mi indica una barca. Non siamo già stati in questa palude? Il fango, il tipo con la bava alla bocca. Ah, dobbiamo raggiungere la sponda opposta. Aspetta, su quella bacinella? Insieme al custode con gli occhi più neri della palude e l’aria iraconda? Tim mi rassicura, la traversata è breve e sicura, ma si raccomanda di non dare il numero di telefono al custode, se me lo chiede: potrei finire in suo potere, messaggi, sms, chiamate, WhatsApp, ogni persecuzione possibile, e a nulla varrebbe mettere il suo, di numero, nella black list.

Impiegheremo pure poco, ma non mi sento al sicuro. Tutto questo fango nero. Un’ombra mi strattona, mi tira a sé, vuole trascinarmi in questa merda. Il suo profilo, lo conosco, lo ricordo, è il flamer che invadeva le mie bacheche. Che tu sia maledetto per sempre in questa porcilaia! Tim, aiutami!, toglimelo di dosso, Tim, ti prego, Tim! Grazie.

Mura, zolfo, oscurità, polvere. Siamo arrivati? Tim non parla più. È pensieroso. La mia reazione contro il commentatore furioso: sono stato troppo aggressivo? Io volevo solo… Tim, dimmi dove siamo. Dite? Tim continua spedito, non teme l’oscurità di questa pianura desolata. Torniamo indietro, Tim. Il viaggio finisce qui, dai. Tim… Quei bagliori, ora, non sono fiamme, sono monitor, davanti sagome vuote a fissarli…

– Berners-Lee! Ti hanno declassato alla fine. Beh, era ora. Noi abbiamo completato il tuo lavoro e siamo stati costretti a scendere negli abissi, costretti all’oblio della clandestinità, nuvole oscure di niente, inesistenti, impercettibili, senza legge, mentre tu te ne andavi in giro a fare conferenze, scrivere libri, fondare la tua versione del mito dell’eroe tecnologico del Ventesimo secolo quando non sei stato capace neanche di sviluppare un browser sicuro, ti sei fatto fregare da quel pivello di Andreessen prima e da Google poi. Già, dimmi, Tim, dal momento che sei quaggiù: Google, è il tuo Dio ora? Google. E sarebbe un Signore Onnipotente l’Algoritmo che indicizza due miliardi di documenti del tuo web quando ne esistono cinquecentocinquanta miliardi? Tu lo sai che è la verità, Tim, hai iniziato tu tutto questo. Nella nostra Cipolla c’è il Tutto, c’è l’Unità cui aspiravi. La Rete è un solo Grande Documento da sfogliare, strato dopo strato, nessun filtro, nessuna censura, nessun codice, nessuna autenticazione, ci avete cacciato negli abissi ma noi siamo liberi e anonimi, legali e illegali, noi facciamo progredire i diritti umani: cerca ciò che vuoi, soddisfa i tuoi desideri, nessuno ti guarda.

Le cipolle - Digital Commedia

– Eresia, già. Secondo il Libro Sacro dei Due Profeti. Ma qual è il tuo Libro Sacro, Tim? Davvero hai accettato che diventasse anche il tuo? E qual è quello del tuo compagno che se ne va in giro tranquillo con il cappello, senza penare troppo? Lo sapete meglio di me che la Verità sta qui sotto, nelle tenebre in cui la distinzione tra legalità e illegalità non è materia per tribunali che impongono la forza inquisitoria degli algoritmi, la Verità è una ricerca per individui che non hanno paura di scavare a fondo. Come loro, li vedete? Giornalisti, agenti segreti, spie. Fai una ricerca con noi, amico con il cappello, no, non dirmi il tuo nome, non voglio saperlo, ti chiamerò Thor_33, hai un’aria familiare con i fumetti della Marvel, prova a cercare quello che vuoi e vedrai, noi non ti inganniamo: tutto ciò che immagini, c’è. Di là, Tim e gli altri ti stanno fregando, amico, è tutto collegato. Apri gli occhi. Ci hanno buttati qui per farci stare zitti, eravamo pericolosi, noi siamo i Custodi della Verità. Diglielo, Roger!

Due sfere candide iniettate da fiumi rosso carminio spuntano da una nuvola nera. Tim ha a malapena il tempo di spingermi via, le nuvole ora si addensano sull’ombra complottista. Un boato, forse un tuono, un urlo. Premo i palmi sulle mie orecchie. Fischio. L’oscurità ha inglobato la figura. Il mio cuore e il mio respiro sono fuori controllo. Chiudo gli occhi.